
Dialogare con Daniele Mencarelli per me è stato importante: mi sono sentita arricchita e le sue parole hanno mostrato tanta umanità. Credo davvero valga la pena leggere questo libro perchè le storie narrate rappresentano la bellezza umana, a prescindere da cosa hai dentro, da quale male sconquassa la tua vita: tormento, dolore, voglia di salvarsi, di rinascere...ah, la potenza della lettura!
Grazie, Daniele per l'intervista che mi hai concesso (le sottolineature sono mie).
Tutto chiede salvezza, come nasce il titolo? E poi salvezza da cosa e a chi la chiedi, sei credente?

La copertina è un capolavoro, chi l'ha pensata?
La copertina mi è stata proposta dall’editore, ha convinto subito tutti, me per primo. La fotografia ha una storia particolare, il ragazzo immortalato è il fratello della fotografa, un ragazzo con problemi psicologici, il male che esprime, la sua chiusura rispetto al mondo, a se stesso, non è finzione. A me piace perché sa testimoniare in maniera immediata l’enorme bellezza dell’essere umano, una bellezza che resiste al male, spesso vissuta in maniera inconsapevole da parte di chi la possiede.
Parlaci della genesi del libro, come nasce l'idea di ambientarlo nel reparto psichiatria?
Questo romanzo, come il mio primo, parte da una vicenda biografica, quindi il protagonista del libro si chiama Daniele per questo. Sono andato a riprendere alcuni fatti della mia gioventù per offrire, in un certo senso, la mia educazione sentimentale, ma non solo per questo, perché il tema della nevrotizzazione è nel corso degli ultimi due decenni semplicemente esploso. Ho tentato di offrire la mia visione rispetto a questo argomento così delicato.
A quale personaggio sei legato?
Non riesco a sceglierne uno, il protagonista vuole bene a tutti e cinque i suoi compagni di stanza perché ognuno riesce a restituirgli qualcosa di sé, perché sono tutti vulnerabili, soli al mondo, perché dentro la loro malattia brilla un’umanità straordinaria, sempre più rara da trovare.
Questo è il secondo romanzo biografico, il primo è “La casa degli sguardi” ambientato nel ‘99. “Tutto chiede salvezza” racconta una vicenda accaduta nel ’94, quindi è un salto più indietro nel tempo. Questo per dire che la difficoltà di approccio rispetto alla scrittura che parte dal dato biografico l’ho scontata due volte, a dire la verità è stata piuttosto sofferta per il primo romanzo, mentre questo secondo è andato via più serenamente. O quasi…
Qual è il tuo rapporto con la scrittura, le parole? Quale scrittore, o poeta, o artista stimi e perché?
La letteratura è stata fondamentale per la mia vita, perché mi ha permesso di conoscere persone che avevano rispetto al mondo uno sguardo molto simile al mio. Mi ha fatto sentire meno solo. Amo la poesia del novecento, un secolo spaventosamente ricco, specie proprio in Italia, ai nostri Caproni, Sbarbaro, aggiungo Eliot, Hughes, solo per fare i primi nomi che mi vengono in mente.
Fai parte dei 12 finalisti al Premio Strega e, tra meno di un mese si deciderà la cinquina. Quando l'hai saputo qual è stata la tua reazione, cosa hai provato, ti ricordi quel preciso momento?
Ovviamente è stata una bellissima notizia, ancora più bella per quello che ci è capitato negli ultimi tre mesi, ovvero per la pandemia. La grande preoccupazione, essendo il mio romanzo uscito a fine febbraio, era quella di non poter fare tutto quello che si era organizzato, in termini di presentazioni e altro. Stare nei dodici ha permesso al libro di superare la fase più difficile, quella della chiusura totale. Quindi sì, bellissimo.
Perché il lettore dovrebbe scegliere il tuo libro?
Amo quei libri che raccontano qualcosa di me e della mia vita dentro vicende, storie che con me non c’entrano affatto. Quindi quegli autori che sanno rintracciare il dato di umanità universale, che abita dentro di noi a prescindere da tempo e spazio. Credo che sia questa la caratteristica più bella del romanzo, vedere quanta somiglianza c’è tra quelli che si definiscono matti e gli altri, i sani, che pensano di essere al riparo da tutto….